Opportunità per le imprese

La Fabbrica intelligente oltre ai processi trasformerà profondamente anche l’organizzazione del lavoro, i ruoli e le relazioni fra le persone. L’analisi e i consigli di Simonetta Simoni, consulente e psicosociologa delle organizzazioni

Industria 4.0: con organizzazioni aperte e reti di team, come cambia il lavoro delle persone

Reti di team che dialogano e si scambiano informazioni in tempo reale. Le imprese che si trasformano in organizzazioni aperte, senza confini e compartimenti settoriali, dove problemi e soluzioni sono condivise e le singole persone sono sempre più chiamate ad auto organizzarsi e prendere decisioni.
Dal connubio fra Industria 4.0 e tecno società emergono e si consolidano nuove forme di intelligenza collettiva capaci di accrescere il valore d’impresa. Chi saprà cogliere queste opportunità, “considerando l’azienda come un contesto in perenne trasformazione e apprendimento, al pari degli organismi viventi”, potrà evolversi ed essere più competitivo, come spiega la Professoressa Simonetta Simoni (consulente e psicosociologa delle organizzazioni) che su questi temi tiene seminari formativi per Ecipar Bologna, la società di formazione di Cna Bologna.
Per informazioni: www.eciparbologna.it, ecipar@bo.cna.it



Professoressa Simoni, con Industria 4.0 le innovazione tecnologiche, che hanno già modificato profondamente il mondo del lavoro, tenderanno inevitabilmente ad accentuarsi non solo per i processi ma anche per le persone. Quali secondo lei gli ambiti che saranno maggiormente interessati?
Industria 4.0 e “tecno società” evolvono insieme ed è importante osservarne l’impatto sulle nostre relazioni e vite di umani “tecnologicamente modificati”. Emergono nuove forme di intelligenza collettiva: ad esempio, reagendo alla crisi economica e all’obsolescenza della produzione, tante PMI, in diverse regioni d’Italia, si sono autorganizzate dal basso e sono cambiate radicalmente, mostrando grandi capacità di fare rete alla ricerca di soluzioni per sopravvivere, prima, e per svilupparsi, poi.
Ciò è stato possibile perché individui e gruppi hanno sviluppato abilità nello scambio di informazioni, nel connettersi, collaborare, autorganizzarsi, innovare rapidamente. Molte imprese hanno strutture più aperte (meno divisione tra settori e funzioni, meno “silos”, crescente partnership con fornitori e clienti), più piatte (meno gerarchia e meno capi), più reticolari in senso orizzontale. E le persone chiedono non solo maggiori spazi di autodeterminazione e di coinvolgimento nella vita aziendale, ma anche il riconoscimento del proprio contributo.

Molti dei concetti e definizioni che guidano le principali rivoluzioni tecnologiche sono nati in altri Paesi, soprattutto negli Stati Uniti. Sarà complesso declinare quei temi nel modo di lavorare delle nostre imprese? E come consiglia di procedere?
Effettivamente un gran numero di novità della tecnologia, dei modi di riorganizzare i processi produttivi e la stessa terminologia aziendale e manageriale vengono dagli Stati Uniti o dal Giappone. Si parla, ad esempio, di lean organization, agility, smart working o business model canvas. Se è vero che alcune espressioni sono letteralmente intraducibili nella lingua italiana (ironicamente, così come il mouse non è “il topo”; lo smart working non è lavoro “elegante” e nemmeno “brillante”….), questo non equivale a dire che il senso di quelle parole e la logica che guida quei modelli non sia applicabile nelle nostre imprese.
I problemi insorgono quando identifichiamo nel modello soltanto una nuova tecnica e ne sottovalutiamo l’impatto sulla cultura aziendale. Se voglio riorganizzare la linea di produzione secondo i princìpi Lean (della Toyota), ho bisogno di persone che siano capaci di analizzare i problemi, segnalarli, ipotizzare soluzioni e condividerle con la squadra e con i capi. E questo non avviene se non c’è un clima di fiducia reciproca, senza comunicazione orizzontale diffusa a tutti i livelli, e se i capi continuano a comportarsi con lo stile “comando e controllo”. Il modello funzionerà solo con un cambiamento di mentalità collettivo, a partire dalla proprietà, dai manager e responsabili di settori/reparti fino ai livelli operativi.

Per restare in tema, “dai team work al network di team”, la definizione è chiara, ma come si configurerà nella pratica questo passaggio?
I confini tra chi opera all’interno e all’esterno dell’azienda sono diventati molto più fluidi e mutevoli ed è importante comprendere la logica di rete sociale. Lavorare in rete significa fare azioni diverse a seconda delle necessità: talvolta consultare per un parere, talvolta collaborare in modo parallelo e autonomo, talvolta fare in sequenza (prima uno e poi l’altro), talvolta fare insieme. E questo accade sempre più spesso tra gruppi variabili per composizione e provenienze, spesso dislocati in luoghi molto distanti tra loro. Che fare allora? Se curo il funzionamento della rete e le connessioni, se riconosco il contributo di ciascun “nodo” di rete e la sua autonomia, se promuovo l’intelligenza collettiva, la rete di team creerà valore. E’ noto che nelle reti sociali le persone cooperano e nello stesso tempo competono, e quindi dovrò mantenere alta l’attenzione al comune interesse nel raggiungere gli stessi obiettivi.

Quali sono, a suo parere, le principali competenze che sarà necessario acquisire e mettere in gioco nelle nuove, cosiddette, organizzazioni aperte?
Tutti gli imprenditori che si sono misurati con questo tipo di cambiamento organizzativo, all’estero e in Italia, hanno affrontato in modi diversi gli stessi passaggi, basandosi sulla trasparenza, la partecipazione, ispirando e motivando i lavoratori, superando l’idea che l’azienda sia una macchina con parti e funzioni separate. Le organizzazioni aperte sono quelle in cui ci sono spazi per l’innovazione e l’autorganizzazione, dove soluzioni a problemi e conoscenze si sviluppano e sono accessibili, condivise, in rete. Sappiamo che “il paradiso in terra non esiste”, tuttavia ci sono aziende dove si lavora meglio e con risultati superiori alle altre.

Il ruolo e il significato della leadership, molto sentito in ambito imprenditoriale, come cambierà rispetto all’accezione e alle funzioni tradizionali?
Fino a ieri il leader/capo era qualcuno che doveva trovare la soluzione giusta, imporre più che convincere, dare certezze, stabilità e controllo. In molti casi era (o è) un ottimo tecnico, profondo conoscitore di ciò che produce. Cambiamento culturale, organizzativo e di leadership sono intrecciati: il leader diventa allora qualcuno che non sta più davanti, ma sta accanto ai suoi collaboratori. E non è più così necessario che debba essere “il più bravo a fare”. Responsabilità diffuse, delega, capacità di gestire i conflitti (senza ignorarli, da un lato, e, dall’altro, evitando l’escalation “da guerra”), apprendimento dall’errore e attenzione al benessere delle persone sono le caratteristiche di questa nuova leadership.

Il mondo delle piccole e medie imprese è pronto a questa nuova evoluzione? E cosa consiglia agli imprenditori per cogliere questa opportunità?
Buona parte del mondo delle PMI coglie con coraggio l’opportunità di associare innovazione tecnologica e organizzativa, perché ha già sperimentato i limiti del modo tradizionale di gestire le aziende. Altri, invece, scelgono di acquistare macchine e attrezzature lasciando immutato tutto il resto, i processi organizzativi, i ruoli e la mentalità di chi ci lavora. Sono le PMI dove, entrando in azienda, mi è capitato di osservare una sorta di sfasatura temporale tra il presente delle tecnologie usate e il passato di modi di comportarsi delle persone che sembrano riprodurre la stessa “foto di famiglia” di vent’anni prima. Rimarranno sul mercato? Possiamo trovare leve per lo sviluppo delle loro potenzialità e avviare una trasformazione “sostenibile”?
Concludendo, vorrei di nuovo sottolineare quanto, in un mondo dove Industria 4.0 e tecno società co-evolvono, i cambiamenti del nostro modo di vivere influenzino le aspettative e le richieste individuali verso il lavoro. In molti, soprattutto giovani, cercano attività dove sia possibile la crescita personale e professionale. In tale scenario è diventato dunque necessario pensare all’azienda come ad un contesto in perenne trasformazione e apprendimento, come gli organismi viventi.